Il ritorno del carbone, picco di emissioni già prima dell’Ucraina (di G. Galeazzi) - HuffPost Italia

2022-04-29 06:31:58 By : Ms. Leona li

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Sul fronte energetico andava male già prima del conflitto in Ucraina. Adesso che arrivano i dati ufficiali del 2021 il quadro diventa ancora più chiaro. La ripresa estremamente rapida post Covid, gli alti prezzi del gas, condizioni climatiche avverse hanno contribuito a riportare in auge il carbone. Il risultato è che le emissioni globali di CO2 dei settori energetico e industriale, che rappresentano quasi l’89% del totale, sono rimbalzate nel 2021 per raggiungere un livello mai registrato prima.

L'aumento è stato del 6% rispetto al 2020, cioè 36,3 miliardi di tonnellate (Gt). In totale le emissioni complessive di gas serra hanno toccato quota 40,8 Gt di CO2, al di sopra del precedente massimo storico nel 2019. A certificare il boom delle emissioni è l’Agenzia Internazionale dell’Energia nel rapporto “Global Energy Review: CO2 Emissions in 2021”. E ancora non sono chiari fino in fondo gli effetti della guerra in Ucraina sulla domanda di energia. L'invasione russa ha messo in subbuglio i mercati del carbone poiché gran parte della fornitura russa di carbone potrebbe non arrivare sul mercato a causa delle sanzioni occidentali. Proprio mentre le quotazioni del petrolio hanno toccato un picco al di sopra di 115 dollari al barile e quelle del gas in Europa 295 euro a MWh, i prezzi globali del carbone sono aumentati di circa il 30% in una settimana.

In Italia - nonostante l’auspicio di poter sostituire, almeno parzialmente, il gas russo con altri Paesi produttori - il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani non ha escluso che il governo, in caso di emergenza, utilizzerà a pieno ritmo le centrali a carbone ancora in funzione. Comunque ben prima della crisi ucraina, si era registrata una notevole ripresa dell'utilizzo del carbone, sia nel terzo trimestre (+25%) del 2021 che nei primi nove mesi dell'anno (+10%). In Italia fin da subito potrebbero lavorare a pieno regime sei centrali a carbone: le quattro centrali di Enel a Brindisi Sud da 2.640 MW, Torrevaldaliga Nord da 1.980 MW, Fusina da 1.280 MW e Sulcis da 340 MW, la centrale di Ep Produzione a Fiumesanto da 600 MW e la centrale di A2A a Monfalcone da 320 MW. A metà dicembre anche il gruppo a carbone della centrale Enel della Spezia, avviato alla conversione a gas, è stato richiamato in funzione. La potenza complessiva a carbone utilizzabile subito è quindi di 7.151 MW. L'unica centrale a olio combustibile utilizzabile a pieno regime è quella di A2A a San Filippo del Mela, con una potenza di 960 MW.

Ma Paesi come la Germania (carbone al 40% del mix elettrico) e Polonia (70%) non potrebbero rinunciare in tempi brevi ai combustibili solidi se venissero meno le forniture di gas russo. Inoltre le fermate per manutenzione delle centrali nucleari francesi mettono a rischio la sicurezza degli approvvigionamenti. Tanto che per le tre centrali a carbone del Paese, Parigi si prepara ad alzare il limite di ore di funzionamento a 1.000 in un anno, rispetto al limite di 700 fissato dalla legge sul clima e l'energia. E in Olanda, all’inizio dell’inverno, con gli stoccaggi di gas pieni solo per metà, le imprese hanno considerato di dover ricorrere a soluzioni di emergenza, come spostarsi sul carbone.

Una contraddizione palese, avverte l’Unpd, il programma Onu per lo sviluppo, agli impegni presi alla Cop26 di Glasgow dai governi che mentre si impegnano a ridurre a zero le emissioni climalteranti entro il 2050, spendono 11 milioni di dollari ogni minuto per sussidiare le fonti fossili.

Se nel 2020 la pandemia ha avuto un impatto di vasta portata sulla domanda di energia, tanto che le emissioni globali di CO2 sono calate del 5,2%, lo scorso anno abbiamo assistito a una ripresa economica estremamente rapida, guidata da uno stimolo fiscale e monetario senza precedenti e da una pronta introduzione, soprattutto nei Paesi industrializzati, dei vaccini. L'aumento del 6% delle emissioni di CO2 del 2021 è stato in linea con l'aumento della produzione economica globale del 5,9%. Questo segna il più forte accoppiamento tra le emissioni di CO2 e la crescita del prodotto interno lordo (PIL) dal 2010, quando il mondo è uscito dalla crisi finanziaria globale.

Lo scorso anno il carbone ha rappresentato oltre il 40% della crescita complessiva delle emissioni globali di CO2 che ora si attestano al massimo storico di 15,3 Gt, superando di quasi 200 Mt il picco precedente del 2014. Anche il gas naturale è rimbalzato ben al di sopra dei livelli del 2019 a 7,5 Gt, per l’aumento della domanda in tutti i settori. Con 10,7 Gt, le emissioni di petrolio sono rimaste significativamente al di sotto dei livelli pre-pandemia per la limitata ripresa dell'attività di trasporto globale.

L'aumento del 6,9% delle emissioni di CO2 nei settori dell'elettricità e del calore è stato determinato dal più grande aumento anno su anno della domanda globale di elettricità, cresciuta de 5,9%, più di 15 volte superiore al calo della domanda nel 2020. Le centrali elettriche a carbone sono state chiamate a soddisfare la metà dell'aumento della domanda elettrica globale, con una quota del carbone sulla produzione totale superiore al 36%. Le emissioni di CO2 delle centrali a carbone sono salite al record di 10,5 Gt, ovvero 800 Mt al di sopra del livello del 2020 e di oltre 200 Mt al di sopra del picco precedente del 2018.

Nonostante il boom del carbone, le fonti di energia rinnovabile e il nucleare hanno fornito una quota maggiore della produzione elettrica rispetto al carbone. La produzione eolica e fotovoltaica è aumentata rispettivamente di 270 TWh e 170 TWh, mentre la produzione idroelettrica è diminuita di 15 TWh a causa della siccità, in particolare negli Usa e in Brasile. La produzione nucleare è cresciuta di 100 TWh. Senza la crescita della produzione da fonti rinnovabili e nucleare, l'aumento delle emissioni globali di CO2 nel 2021 sarebbe stato superiore di 220 Mt.

Con una crescita ad alta intensità di carbonio che ricorda il 2010, la ripresa economica globale dalla crisi del Covid-19 non è stata quella auspicata dal direttore esecutivo dell’Aie Fatih Birol all’inizio della pandemia nel 2020.

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