Iran, le lotte operaie e la riemersione dei consigli di fabbrica - NapoliMONiTOR

2022-09-24 04:18:27 By : Ms. Vicky Zeng

Egemonia è una rivista curata e pubblicata in forma cartacea dalla redazione de La voce delle lotte, in rete con altri giornali indipendenti internazionali, tra cui Esquerda Diário, Esquerra Diari, Révolution Permanente, Klasse Gegen Klasse e Left Voice. 

Pubblichiamo a seguire un’intervista (comparsa nel numero 3 della rivista) di Gianni Del Panta a Ida Nikou sulle lotte operaie in Iran, e in particolare sulla riorganizzazione dei consigli di fabbrica nel paese. L’intervistata è una studiosa dei movimenti politici e sociali in Medio Oriente. 

Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito all’emersione di alcuni consigli operai in Iran. Ci puoi dire qualcosa in merito a queste esperienze?

L’Iran si è certamente caratterizzato per un’impennata della militanza sui luoghi di lavoro negli anni più recenti. Almeno a partire dal 2010 la lotta di classe è diventata esponenzialmente più militante e organizzata. Abbiamo assistito a scioperi prolungati e militanti in diversi settori e in svariate industrie del paese. In un contesto caratterizzato da barriere legali e da una forte repressione politica contro la contrattazione collettiva, i lavoratori hanno utilizzato organizzazioni indipendenti rispetto ai sindacati promossi dallo stato. Le parti più avanzate del movimento operaio, i lavoratori industriali della fabbrica di canna da zucchero Haft-Tappeh e quelli del Gruppo Industriale Nazionale Iraniano dell’Acciaio (INSIG, l’acronimo inglese) hanno anche rivitalizzato e posto nuovamente al centro del dibattito l’idea delle showras (consigli operai) e della conseguente gestione operaia dei luoghi di lavoro.

In entrambi i casi, l’idea delle showras è emersa in seguito alle mobilitazioni dei lavoratori, principalmente promosse in risposta alla privatizzazione delle aziende, ai licenziamenti di massa e a stipendi arretrati a lungo attesi. Alla Haft-Tappeh troviamo una lunga storia di attivismo operaio che risale agli anni settanta, quando i lavoratori crearono le proprie strutture organizzate per la prima volta. Per quanto tali strutture siano state liquidate dopo la rivoluzione (il riferimento qui è al successo della controrivoluzione islamista, che tra la caduta dello Shah nel gennaio del 1979 e la fine del 1981 ebbe la meglio sulle forze di sinistra e sui lavoratori, ndr), un nuovo sindacato è stato ricreato, nonostante il divieto formale, nel 2007. Il consiglio operaio a Haft-Tappeh è emerso proprio a partire da questo nucleo organizzato, con ben 22 precari tra i rappresentanti dei lavoratori provenienti da ben quattordici sezioni differenti della fabbrica. L’idea di una gestione operaia è stata resa pubblica per la prima volta da Esmail Bakhshi, uno dei leader dei lavoratori, nel momento di massimo conflitto dello sciopero alla Haft-Tappeh nel 2018. In un discorso, oggi “famoso”, di fronte all’assemblea generale che ha animato uno sciopero durato tre mesi, Bakhshi ha espresso il bisogno del controllo operaio della fabbrica in quello che è diventato il motto suo e degli altri lavoratori: “lo possiamo fare da soli”:  

“Gli ordini sono sempre arrivati dall’alto. Oggi, abbiamo deciso di dettare le regole dal basso. Noi assegniamo compiti al governo […] agiamo collettivamente come un consiglio. […] Individualisti, nazionalisti, razzisti e reazionari non hanno posto in mezzo a noi. La nostra alternativa sono i consigli operai. Questo significa che prendiamo decisioni collettive per il nostro stesso destino. Emettiamo verdetti dal basso. Abbiamo patito anche troppo la repressione”.¹

Poco dopo, il governo ha utilizzato varie tattiche per sopprimere il movimento consiliare alla Haft-Tappeh. Nel 2018, Bakhshi e molti tra i lavoratori più militanti sono stati arrestati e torturati, mentre altri sono stati licenziati dall’azienda. Bakhshi stesso è stato condannato a quattordici anni di carcere, mentre il governo dichiarava illegale l’assemblea generale e la sostituiva con un consiglio del lavoro islamista, posto sotto il controllo statale.

Nonostante questa battuta d’arresto, i lavoratori alla Haft-Tappeh hanno riportato una grande vittoria nel 2020, quando sono riusciti ad imporre al governo l’annullamento della privatizzazione. C’è poi voluto un altro anno perché il governo finalizzasse il controllo pubblico sull’azienda. Successivamente, i lavoratori hanno però dovuto affrontare altre sfide. Tra queste: stipendi arretrati, un crescente controllo securitario della fabbrica e repressione su vasta scala. Ciò nonostante, i lavoratori hanno riportato una vittoria significativa, ottenendo, grazie ad una lunga lotta, quanto rivendicavano.

Le condizioni che hanno portato all’emersione del consiglio operaio alla INSIG sono state simili a quelle presenti alla Haft-Tappeh. Tuttavia, a differenza di quest’ultima, i lavoratori alla INSIG non disponevano di alcuna esperienza collettiva passata alla quale rifarsi, e neanche di una struttura che potesse cementare i propri sforzi. La confusione creata dalla privatizzazione della fabbrica e il conseguente blocco della produzione ha mantenuto per un po’ i lavoratori e le loro preoccupazioni in un limbo. Dopo aver compreso l’incapacità e la riluttanza dei funzionari locali nel fornire delle risposte concrete, i lavoratori hanno però deciso di mobilitarsi attraverso i loro legami di amicizia che gradualmente hanno dato vita a comitati e assemblee clandestine. A differenza della Haft-Tappeh, dove i rappresentati dei lavoratori erano noti e attivi pubblicamente, il consiglio operaio della INSIG non disponeva inizialmente di rappresentanti riconosciuti. Questa struttura poco visibile si è dimostrata molto efficace, almeno in una prima fase, per resistere alla repressione statale, grazie ad un meccanismo di diffusione della pressione repressiva su un certo numero di attivisti.

Dal 2016 al 2018, il consiglio operaio della INSIG ha organizzato diverse proteste, come lo sciopero di diciassette giorni nel 2016, quando i lavoratori hanno occupato la fabbrica e negato l’ingresso al personale, e lo sciopero generale nel 2018 durato quaranta giorni, che è anche diventato una delle proteste operaie più lunghe della storia del movimento dei lavoratori in Iran fino ad oggi. Nel corso di questi scioperi, il rappresentante dei lavoratori Meytham Al-Mahdi ha tenuto un discorso esprimendo solidarietà ai lavoratori arrestati della Haft-Tappeh, parlando dell’unità della classe lavoratrice e proclamando la gestione operaia come l’unica soluzione sostenibile per la crisi alla INSIG. A seguito di questo discorso, Meytham e altri quaranta lavoratori sono stati arrestati nel corso di una serie di raid notturni. Dopo il suo rilascio, Meytham è stato costretto in clandestinità prima di lasciare il paese per la sua incolumità. 

Nel corso di questi due anni di prolungata lotta, il consiglio operaio della INSIG ha utilizzato una serie di tattiche innovative, incluse l’interruzione delle preghiere del venerdì – successivamente divenuta una pratica diffusa tra i lavoratori in lotta in altri settori e città – l’occupazione di palazzi amministrativi, l’espulsione di capi e controllori, e perfino l’occupazione della tesoreria della Banca Nazionale nella provincia di Khuzestan. Inoltre, durante la prolungata occupazione della fabbrica nella primavera del 2018 in risposta alla serrata padronale, il consiglio operaio ha organizzato gruppi di controllo per proteggere e sorvegliare la fabbrica durante la notte, visto le intenzioni del proprietario di vendere i macchinari. Questa è stata una tattica del tutto nuova di controllo e supervisione da parte dei lavoratori per proteggere i mezzi di produzione. Nonostante la repressione del consiglio alla INSIG e dei rappresentanti dei lavoratori, gli operai sono riusciti a costringere la proprietà al pagamento degli arretrati, all’introduzione della previdenza sociale e alla ri-nazionalizzazione della fabbrica.

Queste due esperienze di consigli operai non sono emerse nel corso di una situazione rivoluzionaria. Quali sono stati i principali fattori che  hanno incoraggiato, oppure forzato, i lavoratori ad assumere il controllo delle fabbriche?              

Queste esperienze hanno visto la luce in un contesto di continua crisi economica, crescenti diseguaglianze e povertà. Tutto questo è stato il prodotto dell’abbandono da parte del governo di un’idea di centralità dello stato nel processo di sviluppo e dell’adozione di politiche neoliberiste con una fortissima dipendenza da un’economia estrattiva, con la contemporanea rimozione delle barriere protettive per le industrie manifatturiere. Molte di queste ultime sono state privatizzate nel corso degli ultimi due decenni, finendo in bancarotta e venendo chiuse per sempre. I proprietari di queste aziende, molti dei quali vicini al governo e all’esercito, hanno avuto accesso a ingenti prestiti, ricollocando il denaro in paradisi fiscali oppure investendo in settori non produttivi dell’economia come la finanza e il settore immobiliare.

In maniera simile, molte delle fabbriche sull’orlo del collasso sono guidate da proprietari o gruppi di investitori che hanno fatto ingenti profitti dall’acquisto a  prezzo stracciato di queste. Proprio queste fabbriche, alcune delle quali erano le più grandi industrie metalmeccaniche nella regione mediorientale prima di queste riforme economiche e delle sanzioni a livello internazionale, sono state il principale focolaio delle lotte operaie negli anni recenti. 

Molti investitori privati hanno cercato di massimizzare la speculazione finanziaria sostenuta dallo stato impegnandosi in altre attività non produttive e completamente slegate rispetto al core business della compagnia. Il proprietario della Haft-Tappeh, per esempio, ha affittato e successivamente riutilizzato ettari di terra precedentemente destinati alla coltivazione della canna da zucchero. Questo fenomeno è stato anche spinto dal tentativo del governo di adeguarsi ai diktat della globalizzazione, che hanno portato alla rimozione dei contributi all’importazione per aziende che non sono competitive sul mercato globale. L’importazione non regolata di zucchero da Cuba, per esempio, è stato uno dei fattori della crisi di produzione alla Haft-Tappeh e dell’industria iraniana dello zucchero in generale. 

Questo blocco della produzione è simile alla situazione rivoluzionaria del 1979 quando molti capitalisti abbandonarono il paese e i lavoratori furono costretti a trovare una soluzione al vuoto che si era creato sui luoghi di lavoro. Prima che Khomeini e il Partito della Repubblica Islamica (PRI) dirottassero la rivoluzione e consolidassero violentemente il proprio potere, i consigli operai erano emersi come una forma popolare di organizzazione della vita economica e politica. Come allora, i lavoratori sono oggi preoccupati per la tenuta della produzione dalla quale dipende il loro sostentamento. Come conseguenza, molte delle proteste dei lavoratori negli anni recenti si sono concentrate sull’opposizione alla privatizzazione e hanno articolato una forte contrarietà alla proprietà privata delle aziende. Nei due casi discussi precedentemente, i lavoratori hanno rivendicato di riprendersi la fabbrica dopo la privatizzazione e sostenuto come potessero gestirla meglio. In queste condizioni, l’idea di una consiglio di gestione è stata una risposta strategica e ideologicamente di successo contro il vuoto causato dall’ordine neoliberista. Da questo punto di vista, i consigli operai di oggi, a differenza dei loro predecessori, sono più una risposta immediata ad una crisi economica piuttosto che a una crisi politica.

É importante inserire il processo di emersione di corpi democratici e radicali di questo tipo all’interno di un contesto più ampio, che comprenda l’attività dei gruppi politici, le specificità locali di lotta, le battaglie legate alle questioni di genere. Ci sono stati elementi che hanno promosso queste esperienze al di fuori della fabbrica?

Per quanto riguarda il contesto sociale, una delle più importanti strategie sviluppate dai consigli operai alla Haft-Tappeh e alla INSIG è stata quella di portare la lotta operaia oltre la fabbrica, estendendola nelle strade e nelle aree urbane per ottenere sostegno popolare. In entrambi i casi, le fabbriche si trovano al di fuori della città; tuttavia, grazie alla loro intelligenza, i lavoratori hanno compreso che per ottenere risalto avevano bisogno di essere visti e sentiti. L’unico modo per raggiungere questo obiettivo era rendere pubbliche le loro battaglie portandole oltre i muri delle fabbriche. Secondo me, questa è stata la carta vincente in entrambi i casi e anche altri settori, in un effetto domino, hanno cominciato a utilizzarla. Il consiglio operaio della Haft-Tappeh ha lanciato varie proteste nella città di Shush, dove i lavoratori hanno ricevuto appoggio. Dato che la Haft-Tappeh è il più grande datore di lavoro dell’area e tutta la città di Shush è direttamente o indirettamente legata alla fabbrica, questo spiega come mai gli scioperi operai abbiano ricevuto uno straordinario sostegno locale. I lavoratori hanno anche utilizzato i social media per diffondere la loro lotta in tutto il paese, e anche grazie alla loro lunga tradizione di attivismo sono stati in grado di incassare il sostegno da parte di altri attori, come pensionati, studenti, insegnanti, e organizzazioni operaie come il consiglio della INSIG e il sindacato degli autisti di autobus di Teheran.

In maniera simile, a un certo punto nel corso della vertenza, i lavoratori della INSIG hanno compreso come il loro successo dipendesse dalla propria militanza. Hanno quindi spostato le proteste oltre i confini della fabbrica e bloccato la principale arteria stradale, organizzando varie manifestazioni davanti ai palazzi governativi. Come già menzionato, i lavoratori hanno anche occupato la Banca Nazionale e il Tesoro, che allo stesso tempo controlla la INSIG. Nel complesso, queste strategie militanti hanno avuto successo, in quanto hanno ottenuto l’indispensabile sostegno popolare da parte della società civile. Questo, a sua volta, ha contribuito a creare un più robusto potere sociale per i consigli operai.

Per comprendere il significato dei consigli, penso anche che sia importante capire meglio il contesto della provincia di Khuzestan, dove si trovano sia la Haft-Tappeh che la INSIG. Negli ultimi quattro decenni, a partire dalla rivoluzione del 1979, la provincia di Khuzestan si è trovata in un costante stato di crisi. In seguito agli otto anni di guerra con l’Iraq, dove questa area ha sofferto particolarmente trovandosi lungo uno dei principali fronti del conflitto, abbiamo assistito a un’impennata dell’emigrazione, al peggioramento della situazione ecologica e all’aumento della povertà. Come in altre regioni del sud-ovest, la maggioranza della popolazione, specialmente di etnia araba, è soggetta a gravi discriminazioni etniche e religiose. L’etnia dominante a livello nazionale – i farsi – sottomette infatti sunniti, arabi, curdi, beluci e rifugiati afghani ad un’orribile oppressione economica e politica. Secondo alcuni report ufficiali, il tasso di disoccupazione in Khuzestan è tra il quaranta e il quarantacinque per cento, quasi il doppio della media nazionale del venticinque. Notiamo anche come questo tasso sia più alto in quelle città dove la maggioranza della popolazione è di etnia araba. L’utilizzo di manodopera straniera e una strategia che favorisce l’appalto dei grandi progetti nella provincia per le ditte con lavoratori non-arabi sono alcune delle ragioni che spiegano questo straordinario livello di disoccupazione.            

Per quanto riguarda le disuguaglianze economiche, i risultati di un recente studio che misura la povertà nel Khuzestan (utilizzando un indice multidimensionale che tiene conto di educazione, sanità, alloggio, disoccupazione e tenore di vita) suggerisce come il tasso di povertà medio di questa regione fosse del trentacinque per cento nel 2016, ben oltre la media nazionale. Questi tassi di disoccupazione e povertà sono degni di nota data l’abbondanza di idrocarburi e risorse idriche nella provincia, la quale contribuisce per più del quaranta percento al budget iraniano. Nonostante l’abbondanza di risorse idriche – sono cinque i fiumi nella regione – questa provincia ha dovuto fronteggiare gravi carenze  d’acqua e una crescente desertificazione a causa delle deleterie politiche economiche e climatiche della repubblica islamica, che riflettono meramente gli interessi della borghesia locale.   

In questo contesto, la provincia del Khuzestan è stata al centro del movimento consiliare nel corso degli ultimi quattro anni. Dal 2018 ad oggi, ci sono state svariate sollevazioni di massa contro le politiche del governo e la crisi economica, tra le quali il trasferimento forzoso di acqua, la costruzione di una diga, il blocco all’erogazione dell’acqua per l’agricoltura e le aree paludose, e l’opposizione alla migrazione forzata della popolazione araba a causa del peggioramento delle condizioni ambientali. Queste sollevazioni di massa sono inizialmente emerse a partire dalle lotte operaie del 2017–18 alla Haft-Tappeh e alla INSIG, ma sono poi evolute in qualcosa di più di ‘mere’ proteste regionali diffondendosi in tutto il paese. Nel giugno del 2021, le sollevazioni sono iniziate nella città di Khuzestan a maggioranza araba in risposta alla crisi idrica e, in un paio di giorni, hanno assunto carattere nazionale. Più recentemente, nel maggio del 2022, una serie di proteste sono scoppiate contro il crescente aumento dei prezzi. In risposta a queste sollevazioni, il governo ha fatto affidamento sulle proprie consolidate tattiche repressive, bloccando l’accesso a internet e all’elettricità a Khuzestan e nelle altre città in lotta per coprire la violenta repressione e riprendere il controllo della situazione. Il governo può reprimere temporaneamente queste sollevazioni, ma le cause profonde delle proteste continuano ad aumentare e non potranno essere soppresse a lungo.

I consigli sono emersi da questo contesto di accresciuta diseguaglianza, povertà, disoccupazione e degradazione ambientale. Nonostante un sostanziale declino del potere strutturale da parte dei lavoratori, questi si sono organizzati attraverso i consigli e così facendo hanno favorito sollevazioni di massa di disoccupati e contadini. (continua a leggere…)

¹ N. Salour & S. Salour, Council Power in the Iranian Labor Movement, 2020. Disponibile qui .

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